"Cuntaccilla a Tofulu, ca ti runa a iunta", origine e significato di un antico detto catanese

Solo i veri catanesi sanno cosa significa "cuntalla a Tofulu". E tu? Scopri l'origine e il significato di questo detto catanese

A cura di Simona Lo Certo
08 agosto 2023 09:25
"Cuntaccilla a Tofulu, ca ti runa a iunta", origine e significato di un antico detto catanese
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Cuntaccilla a Tofulu, ca ti runa a iunta, significato di un’antica espressione catanese

Quando si dialoga a Catania, può capitare che, ad un tratto, uno dei due interlocutori esclami “Seee, cuntaccilla a Tofulu ca ti runa a iunta”, facendo riferimento alle parole che gli sono state rivolte e alla storia che gli è stata raccontata.

Ma precisamente, qual è il significato di questa tipica espressione catanese? Scoprilo continuando a leggere.

Quando un catanese invita qualcuno a “cuntari a Tofulu” qualcosa perché è l’unico a dargli “a iunta” significa che non crede a quello che gli viene riferito e che, proprio per questo, invita il suo interlocutore ad andare a raccontare le sue fandonie a qualcun’altro senza prenderlo in giro.

Così come il Tofulu catanese, anche in altre parte d’Italia, “Tofano” è colui che, convinto dell’infedeltà della moglie, lo diceva a tutti senza avere però le prove, ma che a sua volta venne preso in giro dalla sua stessa moglie. Ed è proprio da qui che nasce il detto e a Catania viene usato come invito sarcastico a raccontare la possibile balla a Tofulu, che abboccherà di sicuro, dandogli adito.

Anche se questo detto è molto conosciuto a Catania, la sua origine è fiorentina e letteraria: ecco a chi è attribuibile.

Cuntaccilla a Tofulu o a Tofano, un detto catanese dall’origine letteraria e fiorentina

I catanesi veterani usano sempre l’espressione “Cuntaccilla a Tofulu ca ti runa a iunta, ma per imitazione sembra che anche i più giovani ne conoscano il senso.

Pochissimi però sanno che in realtà l’origine di questo antico detto catanese è fiorentina e per giunta letteraria, attribuibile al grande scrittore italiano Giovanni Boccaccio. Vediamola insieme!

Nella quarta novella della settima giornata del “Decameron”, intitolata “Tofano e Monna Ghita”, il tema delle beffe coniugali viene esplorato da Lauretta, una dei 10 narratori che Giovanni Boccaccio scelse per dar vita alla sua opera.

Come racconta la novella, Monna Ghita è una donna affascinante, sposata con Tofano, un uomo eccessivamente geloso che sospetta che ogni uomo possa essere attratto da sua moglie. Stanca della sua irrazionale gelosia, Monna Ghita decide di vendicarsi prendendo un amante. Sfruttando la tendenza del marito ad ubriacarsi, lo fa addormentare ogni sera per poi incontrare il suo amante. Tuttavia, Tofano si rende conto di essere l’unico a bere, quindi finge di essere ubriaco per scoprire cosa sua moglie fa quando si ritira nella sua camera. Monna Ghita, come al solito, esce per incontrare il suo amante, ma quando torna a casa trova la porta chiusa da Tofano che intende disonorarla davanti al villaggio. Inizialmente implora di entrare, ma quando Tofano la ignora, minaccia di gettarsi nel pozzo. Tofano corre fuori, ma Monna Ghita aveva precedentemente lanciato un sasso nel pozzo per simulare il suicidio. Approfittando dell’occasione, Monna Ghita chiude la porta dietro di sé. Ora la situazione è rovesciata: Monna Ghita accusa Tofano di arrivare tardi a casa e ubriaco, mentre lei rimane sola. I vicini la sostengono e i parenti di Monna Ghita intervengono per picchiare Tofano. Tuttavia, la storia ha un lieto fine: Tofano si rende conto che la gelosia lo ha ingannato e che ama davvero sua moglie. Chiede perdono e la riporta a casa, promettendo di non essere più geloso.

Ecco allora spiegata l’origine di questa espressione pittoresca sì, ma dal significato profondo e diremmo davvero autorevole.

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