Le antiche conserve siciliane | I “buttigghi di pumaduru” dei catanesi che raccontano un patrimonio senza tempo
I “buttigghi di pumaduru” sono un’icona della cultura contadina catanese: conserve fatte in casa che racchiudono il sapore dell’estate e la memoria di un’intera generazione.

Quando la tradizione passava dai terrazzi
Chi è cresciuto in provincia di Catania, almeno una volta nella vita ha visto i vasi di vetro pieni di salsa di pomodoro stesi al sole, sopra i tetti, i balconi o nei cortili assolati.
I “buttigghi di pumaduru” – termine dialettale per indicare le bottiglie di conserva – rappresentano una delle più radicate tradizioni culinarie siciliane, tramandata di generazione in generazione.
Si tratta della conserva di pomodoro fatta in casa, spesso preparata in fine estate, tra agosto e settembre, per affrontare l’inverno con una scorta di “sugu” capace di evocare i sapori dell’orto anche a distanza di mesi.
Una vera “liturgia familiare” per i catanesi
La preparazione della conserva era – e in alcune famiglie è ancora – un rituale collettivo. Coinvolgeva nonni, genitori, figli, zii e vicini di casa. Tutti avevano un ruolo:
- Chi lavava e selezionava i pomodori
- Chi li passava nel “passapomodoro”
- Chi faceva bollire la salsa in grandi pentoloni
- Chi riempiva le bottiglie sterilizzate
- Chi le chiudeva con tappi a vite o a corona, poi sistemate a testa in giù
- Chi le lasciava al sole per completare l’opera di conservazione
Era anche l’occasione per fare scorte di passata, concentrato (strattu) o di pomodori secchi, tutti fondamentali nella cucina tipica catanese.
Il pomodoro giusto per la conserva
Il protagonista assoluto era – ed è – il pomodoro da salsa, in particolare le varietà:
- Siccagno (a crescita limitata, polpa densa e pochi semi)
- San Marzano (più umido ma profumatissimo)
- Costoluto siciliano (più rustico, usato in mix)
I pomodori venivano raccolti a mano, selezionati maturi ma sodi, e lavorati in giornata per non perdere aroma e dolcezza. Nelle campagne tra Paternò, Palagonia, Scordia e Ramacca, queste varietà sono ancora oggi tra le più coltivate.
I “buttigghi” come patrimonio identitario
Ogni famiglia custodiva gelosamente la propria ricetta: chi aggiungeva basilico fresco, chi un pizzico di zucchero, chi lasciava la salsa più liquida o più concentrata.
I “buttigghi” venivano numerati, datati, e riposti in cantina o in credenza, spesso riutilizzati per anni.
In un’epoca senza conservanti, freezer o barattoli industriali, queste bottiglie erano oro rosso da usare con parsimonia e rispetto.
Per i catanesi, la conserva casalinga era identità, autosufficienza e orgoglio familiare.
Curiosità: il vetro delle “buttigghi” veniva passato di famiglia in famiglia
Una delle particolarità della tradizione dei “buttigghi” è che le bottiglie non si buttavano mai.
Quando si rompeva un tappo o si scheggiava il collo, si ricorreva a tappi di sughero o a carta e spago cerato.
In molte famiglie del catanese, le bottiglie venivano “prestate” ai parenti per l’anno successivo, con la promessa implicita di restituirle a conserve finite.
Chi rompeva una “buttigghia” senza motivo, spesso, si beccava il rimprovero della nonna.