Sotto la città dorme un fiume invisibile: l’opera segreta che diede vita all’antica Catania
Sotto Catania scorre ancora il tracciato dell’antico acquedotto romano. Un’opera ingegneristica colossale e una curiosità sorprendente.
L’acqua che cambiò il destino della città
Molto prima che Catania fosse sommersa da colate laviche o ricostruita in stile barocco, sotto la sua superficie correva una rete invisibile di condotti, un sistema idrico che oggi potremmo definire un capolavoro di ingegneria romana.
L’Acquedotto romano di Catania fu costruito tra il I e il II secolo d.C., durante l’età imperiale, per portare l’acqua dalle sorgenti situate ai piedi dell’Etna fino al cuore della città. L’obiettivo era ambizioso: alimentare fontane, terme e abitazioni di una colonia in piena espansione, migliorandone la vita quotidiana e la salubrità.
L’acqua percorreva chilometri di canali sotterranei in pietra e mattoni, superando dislivelli grazie a ponti, arcate e cunicoli scavati nella roccia lavica. Un’opera che, per concezione e solidità, poteva competere con i più noti acquedotti dell’Impero romano.
Oggi ne rimangono solo tracce frammentarie, inglobate nelle fondamenta della città moderna. Alcuni segmenti sono stati identificati sotto l’area di Piazza Stesicoro, altri nei pressi delle Terme Achilliane e del Teatro Romano. Piccoli frammenti, ma sufficienti a raccontare la grandezza di un sistema idrico che, se fosse rimasto integro, sarebbe stato uno dei più estesi della Sicilia antica.
Dalle viscere di Catania al mito della rinascita
Col passare dei secoli, le eruzioni e i terremoti che colpirono Catania distrussero gran parte dell’acquedotto. Tuttavia, in diversi punti la lava si limitò a coprire i condotti senza cancellarli, sigillandoli come in un sarcofago di pietra.
Nel Seicento, durante la ricostruzione post–1693, alcuni tratti furono riscoperti casualmente dagli operai che scavavano nuove fondazioni. Fu così che si scoprì l’esistenza di gallerie perfettamente conservate, con le pareti ancora rivestite di cocciopesto e i segni delle maestranze romane ben visibili.
Gli studiosi ipotizzano che l’acquedotto avesse origine nell’area di Santa Maria di Licodia o di Adrano, dove si trovavano le sorgenti più pure, e che seguisse un tracciato parallelo al corso del fiume Amenano. Un’opera quindi non soltanto funzionale, ma anche perfettamente integrata nel paesaggio vulcanico: un dialogo tra pietra e acqua, tra forza e vita, in una città che da sempre vive sospesa tra distruzione e rinascita.
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