Paternò: custodia cautelare per Alessandro Alleruzzo, commise delitto d’onore nei confronti della sorella Nunzia nel 1995

Nella giornata di oggi, al termine delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania ed eseguite dai Carabinieri della Compagnia di Paternò, è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale etneo,...

A cura di Marco D'Urso
04 giugno 2021 17:25
Paternò: custodia cautelare per Alessandro Alleruzzo, commise delitto d’onore nei confronti della sorella Nunzia nel 1995
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Nella giornata di oggi, al termine delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania ed eseguite dai Carabinieri della Compagnia di Paternò, è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale etneo, nei confronti del quarantasettenne Alessandro Alleruzzo, in ordine al delitto di omicidio volontario pluriaggravato ai danni della sorella Nunzia, avvenuto nel 1995.

L’uomo senza alcun rimorso ha ucciso la sorella con due colpi di pistola calibro 7,65 alla testa per riscattare l’onore della famiglia mafiosa Alleruzzo, oltraggiata dalle relazioni extraconiugali intrattenute dalla donna con soggetti criminali “nemici” della famiglia.

Gli Alleruzzo sono una famiglia mafiosa di vecchia data a Paternò. Giuseppe, padre di Alessandro, è stato il boss alla guida del gruppo paternese di cosa nostra tra gli anni ’70 e ’80. Il clan è stato al centro di numerose faide sanguinose, anche particolarmente cruente ed è l’articolazione territoriale della famiglia mafiosa Santapaola di Catania. Tra gli esponenti familiari vi è anche il cugino Santo (classe 1954), detto “a vipera” che è stato considerato il reggente del clan sino all’arresto, avvenuto durante l’operazione “Sotto Scacco”.

Il decennio ’80-’90 fu un susseguirsi d’omicidi tra le fazioni e Giuseppe Alleruzzo subì l’assassinio sia della moglie che del figlio, lutti che lo portarono a divenire collaboratore di giustizia. Il ritrovamento delle ossa di Nunzia avvenne per ordine e volontà di Santo, che dal carcere intimò ad Alessandro di far ritrovare il corpo della sorella per darle sepoltura. Il 25 marzo 1998 giunsero due chiamate anonime che consentirono il ritrovamento in un pozzo delle campagne di Paternò dei resti ossei di una donna, in particolare il teschio, dove fu riscontrata la presenza di due fori causati da colpi d’arma da fuoco.

Attività investigative e comparazione del D.N.A. consentirono l’identificazione della vittima in Nunzia, scomparsa il 30 maggio 1995 dopo esser stata vista dal figlio di 5 anni uscire di casa, assieme al fratello Alessandro. Finora il delitto d’onore non poteva essere confermato ma le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia (Francesco Bonomo, Antonio Giuseppe Caliò e Orazio Farina) hanno avvalorato le precedenti dei famigliari della vittima.

Bonomo ha riferito d’esser venuto a conoscenza dell’omicidio di Nunzia, per mano del fratello, da Giovanni Messina e Caliò con la “banale” motivazione d’aver riscattato l’onore della famiglia, violato poiché la sorella aveva intrattenuto numerose relazioni sentimentali con componenti del clan, abbandonando il marito.

Al contempo Caliò ha reso le proprie dichiarazioni confermando le parole di Bonomo: fu lo stesso Alessandro a vantarsi e raccontare al collaboratore di giustizia che uccise la propria sorella per riscattare l’onore famigliare, sporcandosi di sangue e terra per averla dovuta trascinare. Il terzo collaboratore Farina confermava la ricostruzione ma inoltre aggiungeva che tra gli amanti di Nunzia vi fosse anche Messina, il quale aveva ucciso la madre e pensava d’uccidere Alessandro.

La riapertura delle indagini quest’anno ha permesso lo svolgimento d’ulteriori attività investigative, coordinate dalla D.D.A. di Catania ed eseguite dai Carabinieri di Paternò, sulla famiglia dalle quale emergevano un eccesso di ritrattazioni, addirittura superflue e a maggior ragione sospette. Infine le intercettazioni all’interno della cella della Casa Circondariale di Asti dov’erano detenuti Messina e Salvatore Assinata, i quali venuti a conoscenza dalla stampa della riapertura delle indagini commentavano: «Mi rissi…o iddi pavunu…e Alessandro è il mandante…ehh…ammazzau…ehh».

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