Lotta alla SLA, il "Post Fata Resurgo" di Andrea Caffo: “Ottenere un intervento immediato che salvi la vita delle persone”

Combattere sempre, arrendersi mai! Potremmo definirlo il “grido di battaglia” di Andrea Caffo, un giovane ingegnere informatico catanese di 39 anni, che ha visto la sua vita cambiare nel momento in cui gli è stata diagnostica la SLA. La Scelorosi Laterale Amiotrofica è una malattia che comporta la d...

A cura di Manuela Scuderi
06 dicembre 2020 07:00
Lotta alla SLA, il "Post Fata Resurgo" di Andrea Caffo: “Ottenere un intervento immediato che salvi la vita delle persone”
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Combattere sempre, arrendersi mai! Potremmo definirlo il “grido di battaglia” di Andrea Caffo, un giovane ingegnere informatico catanese di 39 anni, che ha visto la sua vita cambiare nel momento in cui gli è stata diagnostica la SLA.

La Scelorosi Laterale Amiotrofica è una malattia che comporta la degenerazione progressiva del motoneurone centrale e periferico, le cui conseguenze possono portare ad una progressiva perdita del controllo dei muscoli scheletrici, della deglutinazione e della parola.

Ad oggi, in Italia, si contano circa 6.000 i pazienti affetti SLA, con una previsione di circa 2000 nuovi casi che si registreranno ogni anno.

Andrea ha deciso di combattere questa sua battaglia, creando la pagina “Post fata resurgo” che letteralmente significa “dopo la morte risorgo ancora“, per dare voce a tutti coloro che come lui combattono quotidianamente questa malattia insieme ai loro cari.

Quando ha scoperto di avere la SLA?

«Sono passati ormai diversi anni e purtroppo la SLA è diventata parte integrante della mia vita e della vita della mia famiglia.»

Cosa è accaduto dopo l’arrivo della diagnosi: com’è cambiata la sua vita?

«All’inizio i sintomi erano molto lievi per cui credevo, ma soprattutto speravo, che ci fosse stato un errore nella diagnosi. Piano piano invece il corpo ha iniziato a non funzionare più come avrebbe dovuto e via via ho iniziato a perdere la funzionalità prima delle dita e delle mani, poi delle braccia e progressivamente anche delle gambe. Oggi riesco ancora a fare qualche passo con il deambulatore ma devo servirmi principalmente della sedia a rotelle. E soprattutto non riesco più ad essere autosufficiente, neanche con le attività quotidiane. Da oltre un anno e mezzo ho anche smesso di lavorare: vivevo e lavoravo a Milano e proprio il lavoro mi portava spesso anche all’estero. Poi, assieme a mia moglie e ai miei figli, abbiamo lasciato Milano per far rientro qui a Catania dove la nostra famiglia ci sta dando supporto. Certamente la mia vita è cambiata profondamente: i sogni, i progetti e le ambizioni sono stati messi tutti da parte, quantomeno per il momento.»

Cosa l’ha gettata nello sconforto e cosa le ha dato la forza per andare avanti?

«Momenti di sconforto ne ho vissuti e ne vivo ancora e sicuramente questo deriva dal fatto di sapere che la mia condizione attualmente non prevede un lieto fine: è un problema che non ha soluzione. Però potevo decidere di lasciarmi andare e arrendermi al mio destino oppure provare a cambiare il destino stesso, sia quello mio che quello di migliaia di altre persone nella mia stessa condizione. E chiaramente ho deciso per la seconda opzione. La forza per andare avanti e gettarmi in questa iniziativa la ritrovo nei miei figli che rappresentano la mia massima motivazione: quello che faccio è principalmente per loro perché possano avere un padre che li aiuti e li segua nella loro crescita. La forza per andare avanti la trovo guardando mia moglie negli occhi oppure sentendo una risata dei miei genitori o ancora nell’amore e nell’affetto da parte di tutti i miei familiari così come dei tanti amici che si sono stretti a me.»

Parliamo della sua pagina accennata prima, “Post fata resurgo”: come e quando è nata l’idea?

«L’idea di Post Fata Resurgo è nata a giugno di quest’anno perché vedevo che troppo poco o quasi niente si stava muovendo per trovare una soluzione a questo problema. O meglio, la percezione mia, ma anche del resto della comunità di malati di SLA, era che tutto fosse monopolizzato dall’emergenza Covid sospendendo di fatto le attività inerenti la nostra patologia. Per cui ho pensato di volermi attivare in prima persona ed eccomi qua. Posso anche anticiparle che sto creando un’Associazione no profit per dare maggiore peso alle richieste ed essere quindi più rappresentativi nei confronti delle istituzioni.»

Quali sono gli obiettivi di questo suo progetto?

«Gli obiettivi del progetto sono prima di tutto di sensibilizzare i nostri Leader e le nostre Istituzioni per ottenere un intervento immediato che salvi la vita delle persone con la Sclerosi Laterale Amiotrofica; in secondo luogo diffondere la conoscenza sulla SLA; terzo raccogliere fondi per finanziare la ricerca genetica al fine di trovare una cura definitiva per la SLA; e infine, ma non meno importante, sostenere la comunità dei pazienti per ottenere l’accesso diretto a trattamenti sperimentali promettenti e lo stop del placebo nelle sperimentazioni. Il merito al primo obiettivo posso dire di aver attirato un po’ di attenzione in quanto ho scritto diverse email al Presidente del Consiglio, al ministro della Salute, al Presidente Mattarella, alla AIFA ma anche alla Commissione Europea. E devo dire che ho ricevuto un riscontro, purtroppo non ancora quello desiderato, ma che mi ha permesso quantomeno di far sentire la richiesta di aiuto. Attendo sviluppi sia sul fronte Ministero della Salute che su quello AIFA. In merito alla diffusione della conoscenza sulla SLA ho iniziato a pubblicare alcuni video sulla mia pagina Facebook anche per sensibilizzare l’opinione pubblica. Ho lanciato un crowdfunding per raccogliere dei fondi da destinare ad una ricerca genetica internazionale. Il quarto punto è forse quello che dal punto di vista temporale è più critico e più urgente e cioè poter accedere a farmaci ancora in via sperimentale: 2 sono i trattamenti che sembrano essere maggiormente promettenti nel poter quantomeno rallentare gli effetti della patologia così da poter guadagnare tempo in attesa di una cura definitiva. I trattamenti si chiamano NurOwn e CuATSM: per il primo in realtà sono stati recentemente comunicati i risultati della Fase 3 conclusasi ad ottobre di quest’anno e purtroppo l’efficacia è stata riscontrata solo in un sottogruppo di pazienti pari a circa il 35%. Il numero sembra quindi essere basso ma in realtà rappresenta, in attesa di vedere tutti i dettagli del trial, un’enorme conquista se si paragona tale trattamento con quelli attualmente in uso capaci di prolungare la vita solo di pochi mesi. Al Simposio Globale sulla SLA, che si svolgerà tra il 9 e l’11 dicembre, l’azienda di biotecnologia che realizza il NurOwn presenterà i dati in dettaglio. Per quanto riguarda invece il secondo farmaco, la sperimentazione dovrebbe concludersi in questo mese di dicembre e siamo tutti in attesa di conoscerne i risultati per poter poi fare richiesta all’AIFA di applicare la legge 648 del 1996 che permetterebbe l’utilizzo di tale molecola anche nel nostro paese. Staremo vigili.»

A suo parere, alle famiglie mancano le tutele adeguate per prendersi cura dei malati di SLA? Se si, cosa andrebbe fatto?

«Le posso rispondere dicendole che Massimo Mauro, Presidente dell’Associazione Italiana SLA, ha mandato pochi mesi fa una richiesta al presidente Conte per aumentare i fondi da utilizzare per assistere le famiglie con pazienti SLA e poter prendersi cura in maniera adeguata. A mio modestissimo parere servirebbe un piano dedicato per i malati SLA che vada dall’assistenza con personale specificatamente e adeguatamente formato al supporto fisioterapico che spazia dalla terapia occupazionale alla logopedia, dall’acqua terapia alla ginnastica respiratoria, giusto per fare alcuni esempi. Questo oggi credo sia possibile in una certa misura solo in alcune realtà dove esistono centri specializzati, ma rappresentano l’eccezione e non la norma.»

Qual è il messaggio che vuole dare per sensibilizzare le persone che magari conoscono poco la SLA e alle famiglie che invece la vivono?

«Da una parte spero che non la conoscono mai perché fare la conoscenza di questa malattia può risultare destabilizzante, dall’altra parte spero che, se l’opinione pubblica comprendesse appieno le necessità e i bisogni di chi vive prigioniero del proprio corpo, probabilmente riuscirebbe non solo ad apprezzare di più la vita ma anche a contribuire con un piccolo gesto d’amore a trovare una soluzione a questo problema tramite donazioni e volontariato. Alle famiglie che invece vivono con la SLA posso solo esprimere la mia ammirazione perché affrontano quotidianamente una lotta a mani nude, senza armi, ma ciononostante non arretrano di un centimetro, mai. E aggiungo che, nonostante le difficoltà non manchino, non devono e non possono arrendersi, perché dopo oltre 150 anni dalla sua scoperta è giunto adesso il momento per la SLA di essere sconfitta per diventare un lontanissimo ricordo per tutti.»

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