Quello che si cela sotto il manto della città: Sant’Agata al Carcere, tra mito e realtà
Scopri la Chiesa di Sant’Agata al Carcere: luogo del martirio e reliquie catanesi, con curiosità che ti lascerà senza parole!

Una chiesa tra archeologia e devozione
La Chiesa di Sant’Agata al Carcere, nel cuore del quartiere San Biagio a Catania, è uno dei luoghi più emotivamente intensi legati al culto della patrona. Sorge su un’area straordinariamente ricca di stratificazioni storiche: i resti archeologici sotto la chiesa comprendono mura greche del VI sec. a.C. e strutture romane risalenti al II sec. d.C., che si possono ancora ammirare durante le visite guidate (fonte).
Nel corso del Medioevo, questo spazio sacro fu trasformato in luogo di culto dalla nobile famiglia catanese dei Guerrera, che ne fece una cappella privata. Ma il motivo per cui i catanesi lo considerano un luogo “sacro al quadrato” è la presenza, secondo la tradizione, della vera cella in cui Sant’Agata fu rinchiusa e torturata durante la persecuzione dell’imperatore Decio (251 d.C.). Ancora oggi, passando per una piccola porta accanto al presbiterio, si accede a un ambiente sotterraneo scavato nella lava: è lì che, secondo il racconto agiografico, la giovane martire affrontò le sue ultime ore di vita, tra tormenti e preghiere.
Il portale medievale e le orme sacre
L’attuale facciata della chiesa è sobria ma potentemente evocativa: è impreziosita da un portale in pietra lavica, autentico capolavoro del XIII secolo, noto come portale svevo o romano-gotico. Proveniva dall'antico Duomo normanno, andato distrutto nel catastrofico terremoto del 1693, e fu ricollocato proprio in Sant’Agata al Carcere per preservarne la memoria architettonica e spirituale (fonte).
I rilievi scolpiti nel portale raffigurano figure simboliche medievali: grifoni, leoni e idre, emblemi della lotta tra bene e male, della regalità e del potere imperiale. Ma ciò che attira l’attenzione dei devoti è una parete interna della cripta, sulla quale si trovano incise le presunte “orme” lasciate dai piedi e dalle mani di Sant’Agata. Sono segni nella pietra lavica che, secondo la tradizione, si formarono miracolosamente al momento della sua prigionia. Toccarle è ancora oggi considerato un gesto di protezione e intercessione, molto praticato dai fedeli, soprattutto dalle donne catanesi in cerca di conforto.
Arte, reliquie e fede popolare
All’interno della chiesa, l’ambiente è intimo ma carico di significati. Una delle opere più preziose è la pala d’altare del 1588, realizzata dal pittore Bernardino Niger, che raffigura il momento della cattura di Sant’Agata, accompagnata da soldati romani e dallo sguardo minaccioso del proconsole Quinziano. L’opera è tra le testimonianze più antiche dell’iconografia agatina conservate in città (fonte).
In una grata posta sotto l’altare si conservano le impronte “miracolose” di Sant’Agata, protette da vetro e metallo. Nell’atrio è visibile anche un prezioso frammento della cassa reliquiaria bizantina che nel 1126 trasportò le reliquie della martire da Costantinopoli a Catania, evento che segnò l’inizio ufficiale del culto agatino nella sua forma moderna (fonte). Durante il 17 agosto, giornata in cui si celebra il ritorno delle reliquie in città, la chiesa diventa uno dei fulcri rituali della processione: migliaia di fedeli si radunano qui per omaggiare il legame tra martirio, storia e miracolo che questa chiesa incarna.